[Talvena] - Zengia dell'Adriano alla Croda Auta
Inviato: ven mar 22, 2024 3:06 pm
Provo anch'io a mettere giù qualcosa
Nel 2015, dopo un precedente tentativo da solo (che, col senno di poi, non si era fortunatamente spinto troppo in là), ho percorso la Zengia de l'Adriano.
Per arrivare alla base della Croda Auta, ad ottobre 2012 avevo provato a cercare l'accesso dalla val costa dei Nass, girovagando senza successo in cerca di segni di passaggio, poi avevo imboccato il sentiero delle cento svolte ma al primo tornante non avevo visto né traccia, ne logicità di prosecuzione e avevo concluso la giornata semplicemente proseguendo verso il rifugio e salendo al belvedere del Piovon per dare un'occhiata alla (ripidissima) uscita. All'epoca esistevano solo le relazioni di Sani e quella di Olivier e De Rocco; quest'ultimi però l'avevano percorsa in discesa, cosa che avevo scartato in quanto mi sembrava poco logica e complicata (anche di questa cosa, col senno di poi, sono stato ben lieto).
Nel secondo tentativo, dopo aver memorizzato (in senso letterale) anche la relazione di Mason, ho riprovato ad attaccare dalla val costa dei Nass; è bastato insistere per un centinaio di metri sul costone in destra idrografica rispetto al ruscelletto di riferimento per reperire una traccia a zig zag, peraltro piuttosto ben marcata e dall'andamento abbastanza tranquillo e graduale, che ci ha depositato alla base dello "zoccolo", dove tutto diventa più ripido ed iniziano le difficoltà. Mi sembra di ricordare che una traccia appena visibile proseguisse sotto parete verso sinistra, in direzione del sentiero delle cento svolte, possibile via di fuga.
Da lì, ci è voluta una buona mezz'ora per capire come proseguire; in leggerissima discesa a destra e poi risalendo subito, si imbocca una rampa inizialmente poco evidente, con andamento da destra a sinistra. Come detto, qui tutto inizia a impennarsi, inclusa la sensazione di disagio generale. Si arriva così alla prima paretina di II, dove abbiamo iniziato (non mi vergogno a dirlo) l'uso abbastanza sistematico della corda, e
superata la quale iniziano i primi dubbi sulla direzione da prendere; a memoria, abbiamo percorso un'altra lunghezza, arrivando sotto delle nicchiette, e da lì abbiamo effettuato un traverso orizzontale a destra che ci pareva molto logico e che ci ha portato sulla costola che delimita in destra idrografica il canale del burelon (mi pare sia nominato così). Siamo scesi sul fondo e iniziato una faticosa risalita dalla parte opposta (è tutto sempre molto ripido), arrivando ad una pala aperta con un grosso ceppo il cui taglio era evidentemente opera dell'uomo (a testimonianza dei lavori dei boscaioli di un tempo) che è anche il primo punto in cui si vede la valle sottostante.
L'ambiente è, inutile dirlo, molto isolato; proseguendo si raggiunge la base delle rocce, dove si comincia a traversare verso destra in una bella faggeta pensile non ancora così esposta. Tuttavia, questo fazzoletto di bosco si restringe presto e si esaurisce in piena parete, in corrispondenza di un paio di alberi dove si può fare un'ottima sosta. Ripassando anni dopo in val Costa dei Nass e guardando all'insù mi era sembrato di individuare esattamente questo punto.
Giunti qua, tornare indietro ci sembrava già una bella seccatura, quindi non c'è stata discussione sul fatto di proseguire, sebbene l'esposizione fosse degna di quella che si ha da un'alta parete delle Pale. Se da questo punto la cengia iniziasse subito, sarebbe tutto più facile. Ma si sa, la cengia è 30 metri sopra. La sezione chiave è in effetti piuttosto impressionante e scoraggiante e infida e consistente, a parte un primo pilastrino roccioso che si esaurisce dopo appena 3 metri, in quasi 30 di zolle d'erba se non verticali, quasi costantemente tendenti al verticale, anche perché essendo appunto zolle disposte una sopra l'altra e non a gradinata come nei pendii pur ripidi di loppa, creano a volte l'effetto cavolfiore ben noto a chi sale cascate di ghiaccio. In effetti, due picche usate sarebbero state utili. Dei chiodi promessi da Mason, o di qualche buchetto per un dado o qualche tronco da incravattare manco l'ombra. Ricordo di essere riuscito a passare soltanto un cordino su una giovanissima conifera della circonferenza di 20 centimetri quando ero ormai a un metro dalla cengia, nient'altro. Se qualcuno ha a sua volta percorso questo tratto riuscendo a proteggersi, sono molto curioso di confrontarmi con lui per capire cosa ha messo e dove lo ha messo.
La cengia è spettacolare, varia: a tratti è larga e "l'effetto viale" descritto da Sani salta effettivamente agli occhi; in altre sezioni si riduce a cornice piena d'erba. Ed è aerea, molto; così aerea che non ci è mai minimamente passato per la testa di slegarci, se non in un paio di brevi punti. Bravi a chi è passato senza. Ad ogni modo l'unico punto che può veramente dare del filo da torcere è l'attraversamento della smoia, il colatoio centrale; per chi ha la guida blu della Schiara, è quello che si vede in foto. Dal vivo è peggio!
Superato questo tratto (i numerosi alberi presenti sulla cengia permettono comunque sicure soste), la cengia si allarga e segue la curva a sinistra che fa la parete, esaurendosi dopo un centinaio di metri. Qui è stato il vero momento di crisi, in quanto l'idea di tornare indietro era molto poco perseguibile, ma procedere in orizzontale sembrava - anzi era - impossibile. Dopo qualche decina di minuti di riflessione abbiamo convenuto che dovendo escludere l'opzione di proseguire in orizzontale, non restava che salire in verticale. Ma la ripidezza del bosco ci sembrava veramente (uso un aggettivo che non amo usare) estrema. Avevo fatto una foto in questo punto che però non rendeva l'idea di quanto gli alberi fossero disposti in modo da rendere la prospettiva quasi lovecraftiana. Però, salendo un metro, spostandosi un altro metro in qua, un altro in là, traversatina di due metri, insomma cercando il facile come quando si è su una placca di difficile lettura, dopo una lunghezza di corda, ci siamo ritrovati infine su un pianoro erboso di due/tre metri quadri con albero dove tirare il fiato e attrezzare una sosta. Anche il pendio iniziava leggermente a cedere. Credo che più di un altro tiro non abbiamo fatto e poi ci siamo potuti slegare con sommo sollievo. Un canalino con roccette affioranti che ci ha depositati finalmente su di un pulpito orizzontale alla base di un bosco dalle pendenze finalmente ragionevoli ha segnato la fine delle difficoltà. Sulla base di relazioni lette recentemente questo è in realtà un crocevia, in quanto traversando a sinistra si prende il pendio di uscita per arrivare alla cima del Belvedere, mentre a destra pare sia possibile collegarsi al viaz del Tita nel punto in cui, dalle cime di Piovon, si termina la prima non facile discesa
e si raggiunge l'incavo da cui si risale (non ricordo i nomi dei riferimenti: boral della lavina delle scandole o qualcosa del genere). Ricordo uno dei cavalletti dei teleferisti di Igne, o forse era solo un'allucinazione.
Attenzione a non sottovalutare nemmeno il pendio di uscita: noi siamo saliti abbastanza "dritti" rispetto al tracciato nella foto di Sani, cercando il percorso che ci sembrava più ragionevole. Abbiamo riattraversato la smoia, questa volta da destra a sinistra e poi puntato alla cresta, su terreno sempre ripido e faticoso, anche se meno esposto. Sul finale ricordo di aver preso un piccolo crinale di roccia scagliosa per evitare verdi ripidissimi.
Alla faccia delle 7 ore di Mason, noi ce ne abbiamo messe più di dieci, ma gente più audace (meno coniglia) di noi può fare un uso meno continuo della corda riducendo sicuramente i tempi.
Materiale in loco: nessuno. Tracce di passaggio, nemmeno, se non qualche poco marcato tratturo di camosci nel breve passo obbligato in uscita dalla smoia. Foto ne avevo qualcuna, ma già ci ho messo una settimana a scrivere, mi ci vorrà un mese a provare a ripescarne.
Sono ripassato un paio di anni fa scendendo dal pian de fontana e ho purtroppo constatato che Vaja ha raso al suolo il bosco dove il sentiero delle cento svolte staccava dal sentiero della val dei Ross. Mi domando se i rari, ma rassicuranti alberi a cui ci si poteva aggrappare e sostare durante il percorso siano ancora là.
Nel 2015, dopo un precedente tentativo da solo (che, col senno di poi, non si era fortunatamente spinto troppo in là), ho percorso la Zengia de l'Adriano.
Per arrivare alla base della Croda Auta, ad ottobre 2012 avevo provato a cercare l'accesso dalla val costa dei Nass, girovagando senza successo in cerca di segni di passaggio, poi avevo imboccato il sentiero delle cento svolte ma al primo tornante non avevo visto né traccia, ne logicità di prosecuzione e avevo concluso la giornata semplicemente proseguendo verso il rifugio e salendo al belvedere del Piovon per dare un'occhiata alla (ripidissima) uscita. All'epoca esistevano solo le relazioni di Sani e quella di Olivier e De Rocco; quest'ultimi però l'avevano percorsa in discesa, cosa che avevo scartato in quanto mi sembrava poco logica e complicata (anche di questa cosa, col senno di poi, sono stato ben lieto).
Nel secondo tentativo, dopo aver memorizzato (in senso letterale) anche la relazione di Mason, ho riprovato ad attaccare dalla val costa dei Nass; è bastato insistere per un centinaio di metri sul costone in destra idrografica rispetto al ruscelletto di riferimento per reperire una traccia a zig zag, peraltro piuttosto ben marcata e dall'andamento abbastanza tranquillo e graduale, che ci ha depositato alla base dello "zoccolo", dove tutto diventa più ripido ed iniziano le difficoltà. Mi sembra di ricordare che una traccia appena visibile proseguisse sotto parete verso sinistra, in direzione del sentiero delle cento svolte, possibile via di fuga.
Da lì, ci è voluta una buona mezz'ora per capire come proseguire; in leggerissima discesa a destra e poi risalendo subito, si imbocca una rampa inizialmente poco evidente, con andamento da destra a sinistra. Come detto, qui tutto inizia a impennarsi, inclusa la sensazione di disagio generale. Si arriva così alla prima paretina di II, dove abbiamo iniziato (non mi vergogno a dirlo) l'uso abbastanza sistematico della corda, e
superata la quale iniziano i primi dubbi sulla direzione da prendere; a memoria, abbiamo percorso un'altra lunghezza, arrivando sotto delle nicchiette, e da lì abbiamo effettuato un traverso orizzontale a destra che ci pareva molto logico e che ci ha portato sulla costola che delimita in destra idrografica il canale del burelon (mi pare sia nominato così). Siamo scesi sul fondo e iniziato una faticosa risalita dalla parte opposta (è tutto sempre molto ripido), arrivando ad una pala aperta con un grosso ceppo il cui taglio era evidentemente opera dell'uomo (a testimonianza dei lavori dei boscaioli di un tempo) che è anche il primo punto in cui si vede la valle sottostante.
L'ambiente è, inutile dirlo, molto isolato; proseguendo si raggiunge la base delle rocce, dove si comincia a traversare verso destra in una bella faggeta pensile non ancora così esposta. Tuttavia, questo fazzoletto di bosco si restringe presto e si esaurisce in piena parete, in corrispondenza di un paio di alberi dove si può fare un'ottima sosta. Ripassando anni dopo in val Costa dei Nass e guardando all'insù mi era sembrato di individuare esattamente questo punto.
Giunti qua, tornare indietro ci sembrava già una bella seccatura, quindi non c'è stata discussione sul fatto di proseguire, sebbene l'esposizione fosse degna di quella che si ha da un'alta parete delle Pale. Se da questo punto la cengia iniziasse subito, sarebbe tutto più facile. Ma si sa, la cengia è 30 metri sopra. La sezione chiave è in effetti piuttosto impressionante e scoraggiante e infida e consistente, a parte un primo pilastrino roccioso che si esaurisce dopo appena 3 metri, in quasi 30 di zolle d'erba se non verticali, quasi costantemente tendenti al verticale, anche perché essendo appunto zolle disposte una sopra l'altra e non a gradinata come nei pendii pur ripidi di loppa, creano a volte l'effetto cavolfiore ben noto a chi sale cascate di ghiaccio. In effetti, due picche usate sarebbero state utili. Dei chiodi promessi da Mason, o di qualche buchetto per un dado o qualche tronco da incravattare manco l'ombra. Ricordo di essere riuscito a passare soltanto un cordino su una giovanissima conifera della circonferenza di 20 centimetri quando ero ormai a un metro dalla cengia, nient'altro. Se qualcuno ha a sua volta percorso questo tratto riuscendo a proteggersi, sono molto curioso di confrontarmi con lui per capire cosa ha messo e dove lo ha messo.
La cengia è spettacolare, varia: a tratti è larga e "l'effetto viale" descritto da Sani salta effettivamente agli occhi; in altre sezioni si riduce a cornice piena d'erba. Ed è aerea, molto; così aerea che non ci è mai minimamente passato per la testa di slegarci, se non in un paio di brevi punti. Bravi a chi è passato senza. Ad ogni modo l'unico punto che può veramente dare del filo da torcere è l'attraversamento della smoia, il colatoio centrale; per chi ha la guida blu della Schiara, è quello che si vede in foto. Dal vivo è peggio!
Superato questo tratto (i numerosi alberi presenti sulla cengia permettono comunque sicure soste), la cengia si allarga e segue la curva a sinistra che fa la parete, esaurendosi dopo un centinaio di metri. Qui è stato il vero momento di crisi, in quanto l'idea di tornare indietro era molto poco perseguibile, ma procedere in orizzontale sembrava - anzi era - impossibile. Dopo qualche decina di minuti di riflessione abbiamo convenuto che dovendo escludere l'opzione di proseguire in orizzontale, non restava che salire in verticale. Ma la ripidezza del bosco ci sembrava veramente (uso un aggettivo che non amo usare) estrema. Avevo fatto una foto in questo punto che però non rendeva l'idea di quanto gli alberi fossero disposti in modo da rendere la prospettiva quasi lovecraftiana. Però, salendo un metro, spostandosi un altro metro in qua, un altro in là, traversatina di due metri, insomma cercando il facile come quando si è su una placca di difficile lettura, dopo una lunghezza di corda, ci siamo ritrovati infine su un pianoro erboso di due/tre metri quadri con albero dove tirare il fiato e attrezzare una sosta. Anche il pendio iniziava leggermente a cedere. Credo che più di un altro tiro non abbiamo fatto e poi ci siamo potuti slegare con sommo sollievo. Un canalino con roccette affioranti che ci ha depositati finalmente su di un pulpito orizzontale alla base di un bosco dalle pendenze finalmente ragionevoli ha segnato la fine delle difficoltà. Sulla base di relazioni lette recentemente questo è in realtà un crocevia, in quanto traversando a sinistra si prende il pendio di uscita per arrivare alla cima del Belvedere, mentre a destra pare sia possibile collegarsi al viaz del Tita nel punto in cui, dalle cime di Piovon, si termina la prima non facile discesa
e si raggiunge l'incavo da cui si risale (non ricordo i nomi dei riferimenti: boral della lavina delle scandole o qualcosa del genere). Ricordo uno dei cavalletti dei teleferisti di Igne, o forse era solo un'allucinazione.
Attenzione a non sottovalutare nemmeno il pendio di uscita: noi siamo saliti abbastanza "dritti" rispetto al tracciato nella foto di Sani, cercando il percorso che ci sembrava più ragionevole. Abbiamo riattraversato la smoia, questa volta da destra a sinistra e poi puntato alla cresta, su terreno sempre ripido e faticoso, anche se meno esposto. Sul finale ricordo di aver preso un piccolo crinale di roccia scagliosa per evitare verdi ripidissimi.
Alla faccia delle 7 ore di Mason, noi ce ne abbiamo messe più di dieci, ma gente più audace (meno coniglia) di noi può fare un uso meno continuo della corda riducendo sicuramente i tempi.
Materiale in loco: nessuno. Tracce di passaggio, nemmeno, se non qualche poco marcato tratturo di camosci nel breve passo obbligato in uscita dalla smoia. Foto ne avevo qualcuna, ma già ci ho messo una settimana a scrivere, mi ci vorrà un mese a provare a ripescarne.
Sono ripassato un paio di anni fa scendendo dal pian de fontana e ho purtroppo constatato che Vaja ha raso al suolo il bosco dove il sentiero delle cento svolte staccava dal sentiero della val dei Ross. Mi domando se i rari, ma rassicuranti alberi a cui ci si poteva aggrappare e sostare durante il percorso siano ancora là.