
Rocce interrotte
Mentre saliva su Cima Piccola, assieme a Virginia, l'undicenne più coraggiosa che conoscesse, arrivati alla sella, non potè fare a meno di lanciare uno sguardo alla sottostante Cima Piccolissima, con il suo caratteristico spacco sulla cima piatta. Lì dove, trenta anni prima, tutto era iniziato e tutto avrebbe potuto finire. Si slegò dalla figlia, per permetterle di allontanarsi un po 'e fare pipì, e poi ripresero la scalata; gli ultimi due tiri, con il famigerato camino Zsgymondy non erano semplicissimi, e volevano tornare presto.
1984
Il Rifugio Locatelli era una delle loro tappe fisse. Ogni volta che arrivavano in Comelico da Roma, dopo aver fatto visita agli amici del Rifugio Berti, organizzava sempre (a dispetto della giovane età era sempre lui il promotore di ogni iniziativa) il "giro dei rifugi". In genere si partiva di buon ora dalla Val Fiscalina, si prendeva la corriera che portava fino a Passo Monte Croce e poi da lì si scendeva a Moso e quindi si cominciava a risalire la Val Fiscalina. Arrivati alla fontana del rifugio fondovalle, si riempivano le borracce, rigorosamente Giò Style arancioni e marroni, e si procedeva per l'alta Val Fiscalina. Quel giorno invece erano andati in macchina con mamma e papà, e quindi erano arrivati a fondovalle molto presto.
Aveva 13 anni, e quando si vedevano le prime cascate, su quella che era stata la testa della morena glaciale, sapeva che sarebbero spuntate le amate cime… prima il Paterno, poi la Cima Grande ed Ovest e poi la piccola e la piccolissima. Era solo questione di tempo, ma non riusciva a non accelerare il passo. Andava avanti, e quando arrivava ai laghetti dei piani finalmente la vista era completa, e poteva aspettare la nonna, la sorella e i genitori. Loro erano arrivati solo qualche giorno prima, mentre lui era già in Comelico con la nonna, quindi erano meno allenati.
Era il 1984, e a 2300 metri faceva freddo anche in Agosto. Non di rado erano incappati in improvvise e violente nevicate; l'anno prima due escursionisti erano morti di freddo sulla parte di sentiero sotto alla creste del Paterno. Loro erano vestiti in maniera abbastanza adeguata, considerato che erano dei "cittadini": pantaloni di velluto alla zuava, il must per chi va in montagna, scarponcini tecnici Asolo di cuoio, maglia di lana, maglione e sopra l'immancabile K-way che, quel giorno, era ancora nel suo "bozzolo", legato in vita.
Il Rifugio Locatelli era ancora un posto accogliente, e non l'albergo che sembra oggi; fu naturale entrare e prendere qualcosa per rifocillarsi e riscaldarsi, non c'era molta gente.
Scalpitava. La scorsa settimana aveva cominciato ad arrampicarsi sui massi attorno al Rifugio Lunelli, ed oggi era lì di fronte a quella meraviglia di roccia, e non riusciva a stare fermo. Aveva letto qualche libro (per carità, non tanti, ma quelli buoni, 7° grado, di Messner fra tutti, ma aveva anche letto le relazioni sulle vecchie guide del TCI-CAI, CAI di cui non era ancora socio, ma prima o poi…) e sapeva a malapena che esistevano chiodi, moschettoni e corde. Eppure il richiamo della roccia era assolutamente irresistibile.
Di lì a poco li avrebbero raggiunti degli amici di famiglia, e fra loro il giovane Enrico, più piccolo di lui di qualche anno, ma ugualmente avventuroso e in vena di esplorare.
Dentro di sé aveva già deciso; qualche giorno prima in un libro visto ad un mercatino ad Auronzo aveva visto una foto di Paul Preuss impegnato, senza corda, sulla Cima Piccolissima; pensava che, essendo quella la più piccola delle Cime di Lavaredo, fosse anche la più facile, ovviamente si sbagliava, e non era in grado di comprendere appieno la difficoltà che Preuss aveva superato nel 1911. Con un eccesso di sicurezza, era sicuro che anche il semplice fatto di essere nato 70 anni dopo, lo rendesse automaticamente più che adeguato a scalare una via del genere.
Appena arrivò Enrico fu un attimo:
"Enrico, mi accompagni a fare un giro sotto le Tre Cime? Ti va?"
"Mamma, Papà, noi andiamo a fare un giro, non vi preoccupate, non faremo nulla di pericoloso, ci vediamo più tardi per continuare il giro dei rifugi."
Considerato che erano solo le 9.00, c'era tutto il tempo per esplorare, prima di dover tornare, e la richiesta sembrava assolutamente innocente; non era la prima volta che si allontanava da solo per arrampicarsi sulle rocce attorno al rifugio, questa volta, per lo meno, si portava dietro qualcuno che potesse aiutarlo. La settimana precedente avevano fatto assieme la ferrata del Monte Peralba, non avevano avuto problemi e l'avevano salita tutta senza attaccarsi al cavo, anche se avevano comunque messo un cordino in vita ed usato un moschettone, nelle parti più ripide e pericolose.
Percorsero il sentiero alto sotto il Monte Paterno quasi di corsa, in basso si vedevano i turisti che cominciavano ad arrivare al Rifugio Locatelli dall'altro lato, dopo aver lasciato la macchina al Rifugio Auronzo ed aver pagato un salato pedaggio. Già allora si sentiva immeritatamente diverso da quei "turisti"…
Dopo aver indossato il k-way alla forcella, in breve furono sovrastati dalla nord di Cima Piccolissima; salirono per gioco sul Torrione Minimo, l'ultima propaggine delle Tre Cime verso Forcella Lavaredo, un torrione composto da massi squadrati sovrapposti e intervallati da ampie cenge. Da lì fù semplice arrivare sulla prima cengia della Cima Piccolissima. Ma Enrico non poteva più seguirlo, e gli disse di aspettare li, mentre lui andava ad esplorare la cengia. Dopo circa cinquanta metri, la cengia finiva, l'esplorazione sarebbe terminata li, e sarebbero dovuti tornare al rifugio. Ma mentre procedeva aveva visto una rampa fessura a metà strada che sembrava potesse essere scalata. Tornò verso la forcella con il Torrione Minimo e disse ad Enrico che avrebbe provato a salire sulla cima. In caso non fosse tornato entro un paio d'ore sarebbe dovuto tornare indietro al rifugio per avvertire i genitori.
In quel momento si sentiva perfettamente in grado di affrontare i 250 m di roccia giallo-nera che lo sovrastavano, nessun dubbio, nessun tentennamento, era solo, aveva dimenticato i genitori al rifugio, la scuola, i computer, che avevano cominciato a diventare una parte importante della sua vita, anche se non sapeva che lo sarebbero stati per sempre. Tutto dimenticato. In quel momento c'era solo la frenesia, le sue mani, i suoi scarponi, e la roccia, fredda ma accogliente e amica. Nessun campanello d'allarme. Aveva cominciato a salire per quella fessura, in direzione del camino, che vedeva sopra di se. Non vedeva l'ora di trovarsi lì dentro e mettersi in spaccata, o con la schiena sulla roccia, come aveva visto nelle foto sui libri.
All'inizio del camino aveva visto due chiodi nella roccia, ed un cordone, sapeva che quello era un punto in cui avrebbe potuto fare sicurezza in qualche modo, ma nessuno gli aveva mai spiegato come fare. Del resto era solo, quindi non avrebbe potuto fare granché, anche conoscendo la teoria…
Cominciò a salire nel camino, capiva che da lì in poi sarebbe stato difficile, se non impossibile, tornare indietro, ma non gli importava; quanto tempo era passato? Forse mezz'ora da quando aveva salutato Enrico? Non lo sapeva, non gli importava.
Il camino si stringeva, più in alto, e allora decise di provare a fare come aveva visto; si mise con la schiena sulla parete destra, e con le gambe dall'altra parte cominciò a camminare, strisciando. Sentiva i pantaloni aderire alla roccia, ma ad un certo punto, indossava il K-way, si sentì scivolare. Fu un attimo, ebbe paura, la roccia arrivò a toccare la schiena nuda e sentì un po 'più freddo. Stava anche sudando, freddo. Era scivolato per 30 cm, forse, ma per un attimo gli era sembrato di volare giù. Guardò in basso, fra le due quinte del camino in cui era salito, era già a cinquanta metri, se non di più dalla cengia. Ora non poteva sbagliare più.
Non senza difficoltà tolse il K-way, lo ripiegò e se lo mise attorno alla vita, tenendolo davanti a sé. E continuò a salire.
A volte si avvicinava al lato destro, uscendo un po 'dal camino, altre volte un po' a sinistra.
Ad un certo punto sembrava che fosse più facile uscire dal camino, dopo una nicchia, ma decise di rimanere comunque dentro, dovette spaccare le gambe al massimo, non era molto alto, ma aveva fatto ginnastica artistica, quindi era abbastanza snodato, oltre che secco come un chiodo.
Il camino terminava con un masso incastrato; lo sovrastava, sembrava impossibile passare, e stava cominciando ad essere affaticato, voleva uscire da quello che gli era sembrato un bellissimo posto fino a pochi minuti prima. Ora cominciava a sentirsi oppresso. Riuscì a superare il masso incastrato a sinistra, continuando brevemente nel camino sovrastante fino ad uscire su rocce più facili.
Pochi metri ed era in vetta.
Uscendo dalla spaccatura vide le facce di tre ragazzi, biondi, alti, attrezzati di tutto punto, caschi rossi, corde, imbracature.
Li guardò come se fossero degli extraterrestri, e loro ricambiarono la sua incredulità allargando gli occhi come se non riuscissero a credere a quello che vedevano.
"Guten Morgen! alles ist gut?"
Non capì nulla di quello che dicevano.
Si guardarono fra di loro, parlarono un po'
"Wir müssen ihm helfen…"
A gesti gli fecero capire che stavano scendendo, in breve fecero passare la loro corda rossa in un anello che c'era sulla cima, guardando verso Cima Grande, e poi il primo gli fece passare un cordino in vita e ci mise dentro uno strano aggeggio a forma di otto, usando un moschettone per collegarlo. Lui scese tenendo la corda su una spalla e sotto una gamba. Gli altri gli fecero vedere come passare la corda nell'otto lo aiutarono a scendere per il primo metro, poi cominciò a scivolare giù, mentre il primo, da sotto, teneva le corde con le mani, cercando di frenare la sua scivolata. Lui provava a frenare la discesa (la caduta!) usando le mani, ma si scottò quasi immediatamente e rinunciò, sperando di arrivare più dolcemente possibile. Quando era quasi arrivato da sotto l'altro allargò le corde di colpo e lo fece rallentare. In quel momento si rese conto di quello che aveva fatto, e di quello che era successo, lo abbracciò.
Gli altri due li raggiunsero velocemente; vederli scendere correndo al contrario, saltando, sulla parete verticale fu uno degli spettacoli più belli a cui aveva assistito fino a quel momento.
2015
"Papo, posso saltare mentre scendo?"
Mentre guardava Virginia, 30 metri sopra, apprestarsi a scendere in doppia, piastrina e machard di sicurezza, le disse di si, che poteva saltare.
La vide scendere felice, dopo aver conquistato Cima Piccola, nonostante diversi altri alpinisti in parete avessero tentato di fermarli dicendo che era troppo piccola per questa scalata.
Saltava, senza alcuna paura, utilizzando la sua esperienza che aveva fortunatamente accumulato, dopo quella salita di trenta anni prima. Di mezzo incidenti in montagna, incidenti in moto, il diploma, il CAI, una laurea, due figli, un matrimonio fallito, tanti traslochi.
Tanti piccoli grandi problemi che avevano, temporaneamente, interrotto la sua passione per l’alpinismo.
Dopo circa sei doppie e innumerevoli salti, atterrarono nel canale di Forcella Alta di Longeres, pronti a prendere la via del ritorno verso il Rifugio Auronzo e, questa volta, la macchina.
Quando aveva 13 anni, ed era sceso con i suoi improvvisati compagni tedeschi (o erano austriaci?) che gli avevano permesso di arrivare alle ghiaie del Rifugio Lavaredo, era stato fortunato.
Fortunato per essere uscito indenne dalla sua impresa, fortunato per aver trovato dei compagni occasionali che l'avevano salvato, fortunato a ritrovare indenne, dopo 3 ore, il suo amico, a Forcella Lavaredo, e fortunato per essere sopravvissuto al cazziatone che gli avevano fatto i genitori e, soprattutto, la nonna, una volta rientrati al Rifugio Locatelli.
Decise che non avrebbe mai impedito a sua figlia di fare le sue esperienze, ma che avrebbe cercato di trasmetterle tutte le tecniche di sicurezza necessarie.
La vide camminare, con il suo caschetto blu, un po 'barcollante, era stanca, sul sentiero che scendeva verso il Rifugio Auronzo.
D'un tratto si voltò a guardare un'ultima volta la cima che avevano salito, puntò il dito verso lo spigolo giallo, la linea più ardita, estetica e accattivante della zona e gli disse perentoria:
"Papo, il prossimo anno facciamo quella!"
"Si amore."